Innovazione aperta o chiusa? Oggi competere in un mercato così frenetico è davvero una sfida!
Cosa vuol dire fare innovazione? Cos’è l’innovazione? Al giorno d’oggi è ancora facile provare a sperimentare nelle aziende? Come primo argomento da trattare sul blog ho pensato potesse essere interessante e di buon auspicio affrontare il tema della “open innovation” ovvero l’evoluzione dell’innovazione nell’era del consumatore e delle tecnologie disruptive.
Devo fare però una piccola premessa. Ho citato le “tecnologie disruptive” non a caso perché l’arco temporale in cui ci troviamo oggi è caratterizzato da un fattore critico importantissimo: l’accessibilità alle nuove tecnologie in termini economici si è abbassata tantissimo. Oggi infatti le persone riescono a comprare “più tecnologia” che in passato e allo stesso tempo accedono e ne usufruiscono “in modo continuo e facile” attraverso il digitale. Questa accessibilità e questa fruibilità hanno creato il contesto odierno (l’era del consumatore) in cui le tecnologie impattano in modo esponenziale sui business già esistenti diventando così dirompenti e cioè disruptive.
Open Innovation: come innovare nell’era delle tecnologie disruptive
Definita la premessa ne volevo comunque capire di più. Mi sono così iscritto al corso realizzato dall’acceleratore/incubatore di Banca Sella, il SellaLab. L’acceleratore d’impresa biellese che si pone l’obiettivo di diventare un vero polo dell’innovazione. Un’occasione perfetta per approfondire l’argomento e per tutti coloro che, come me, si occupano di aiutare le aziende nell’era della “digital transformation”.
Il corso si è svolto nell’arco di una giornata full immersion sull’argomento.
Docente: Enrico Cattaneo esperto in Open Innovation dell’(ex)acceleratore torinese 42accelerator e Corporate VC.
Titolo della giornata: “Open innovation: gli strumenti necessari per portare l’innovazione in azienda”.
Obiettivo: dare ai partecipanti una visione complessiva del fenomeno dell’innovazione d’impresa e in particolare dell’open innovation e fornire una panoramica su quali “nuove risorse” sono a disposizione oggi.
La giornata di formazione è iniziata con uno sguardo rivolto al passato e all’analisi del precedente modello d’innovazione seguito dalla aziende. In figura potete vedere una rappresentazione del classico e vecchio funnel di creazione e sviluppo di un progetto innovativo. Sintetizzando possiamo così descriverlo: un processo lineare, delimitato dalle barriere aziendali, contraddistinto da due fasi temporali. Una fase di ricerca e una fase di sviluppo dove a conclusione troviamo la presentazione al mercato del prodotto finito.
Il punto di partenza solitamente è uno studio di mercato, a seguito del quale il reparto di R&D (Research and Development) è impegnato nella stesura del progetto e nella prototipazione del prodotto all’interno di un budget da spendere. Questo processo è caratterizzato dal totale controllo aziendale ma di fatto è un processo chiuso perchè non va aldilà dei confini aziendali. Oggi questo processo di innovazione aziendale è definito un progetto di closed innovation o innovazione chiusa.
Come vedremo però nel corso dell’articolo questo tipo di approccio oggi – nell’era della tecnologia – non funziona più e rischia di trasformarsi in un freno o addirittura in un vero e proprio ostacolo per la sopravvivenza stessa dell’azienda. Cosa fare allora per evitare di essere inghiottiti dal mercato o dalla sua trasformazione? Una soluzione è l’applicazione di un nuovo processo interno d’innovazione oppure la definizione di una nuova strategia aziendale dedicata al tema dell’innovazione. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla definizione d’innovazione.
Cos’è l’innovazione?
Cercando di dare una definizione alla parola innovazione – in riferimento al “fare impresa” – possiamo affermare che l’innovazione è prima di tutto un processo/percorso che permette ad un’idea o a un’invenzione di diventare una soluzione commercializzabile, dove l’idea, il concept, i test, ed i prototipi sono tutti passi di questo processo, che può essere più o meno strutturato e può avere diverse fonti.
Questa definizione trae origine da Joseph Schumpeter – famoso economista austriaco del XX secolo – che definì l’innovazione come la dimensione applicativa di una scoperta oppure la commercializzazione di un’invenzione. Fu infatti proprio Schumpeter ad introdurre per primo, nell’analisi economica e sociale del tempo, la distinzione tra innovazione, invenzione e diffusione:
“Nel momento in cui l’invenzione diventa parte integrante dell’attività economica, ovvero quando comincia ad avere conseguenze economiche, essa diventa un’innovazione.”
Spostandoci dal XX secolo ad oggi, il primo esponente a criticare il vecchio modello d’innovazione e ad affermare la necessità di un nuovo funnel – descrivendo criticità e differenze – è stato: Henry Chesbrough. L’economista statunitense, Executive Director del Center for Open Innovation dell’università californiana di Berkele, descrive come ormai vecchio e superato il modello sopra visualizzato e definisce così un nuovo concetto di innovazione caratterizzandolo con l’aggettivo “open”:
“Open innovation is the use of purposive inflows and outflows of knowledge to accelerate internal innovation, and expand the markets for external use of innovation, respectively.”
Secondo Henry, l’open innovation è un paradigma che afferma la possibilità e l’obbligo da parte delle imprese odierne di far ricorso ad idee esterne, così come a quelle interne per accelerare il processo d’innovazione dentro all’azienda. Allo stesso tempo, grazie a queste idee, accedere con percorsi – sia interni che esterni – ai nuovi mercati.
Il perchè di questa affermazione deriva dal fatto che il processo d’innovazione non può più avere il funnel fin qui utilizzato all’interno del contesto economico odierno e avendo esperienza diretta in una grossa multinazionale non posso che confermare queste parole. Oggi per un’azienda è fondamentale capire e anticipare le dinamiche ed i trend di mercato perchè non solo la globalizzazione ha completamente rivoluzionato i metodi ed i processi produttivi aziendali modificando il contesto geografico, cioè “esportando” il tessuto produttivo in cui oggi le aziende vanno ad operare ma la tecnologia o meglio l’accessibilità alla stessa e alla conoscenza ha stravolto il mercato, aumentato esponenzialmente gli attori coinvolti e dimezzato il tempo di vita di un prodotto/servizio e dell’azienda stessa, aumentando di conseguenza in modo esponenziale il rischio d’investimento sul “fare innovazione”.
In questo scenario non è più possibile sperimentare e fare innovazione come 10 anni fa. Un’innovazione quasi esclusivamente interna all’azienda, tanto da poterla definire oggi “chiusa” appunto “closed innovation”. La disponibilità economica non basta più anzi si brucia facilmente e la gestione interna del processo a volte rischia di diventare un modello lento a cui mancano le competenze che il tempo non permette di sviluppare. Anche la tutela della proprietà intellettuale da sola non basta.
Ok non serve il vecchio modello. Ma cosa devo fare adesso per fare innovazione?
Nell’immagine sottostante è visualizzato il nuovo funnel rappresentativo dell’open innovation. Il funnel ora è forato, i confini aziendali sono meno definiti e c’è uno spostamento del controllo del processo verso l’esterno dell’azienda. L’evoluzione e l’adozione della tecnologia ormai sta traghettando le aziende attraverso la trasformazione digitale con il risultato di arrivare alla creazione di nuovi modelli di business e addirittura di un nuovo vocabolario dove le parole d’ordine sono crowdsourcing, crowdfunding, big-data, cloud ecc… Solo le aziende che abbracceranno questo approccio e si faranno contaminare da competenze sopravviveranno.
Un esempio su tutti: il crowdsourcing (che mi perdonerete se sto semplificando moltissimo ma potremmo definire l’applicazione dell’outsourcing alla rete) oggi abbattute i confini geografici per molti aspetti ad esempio creatività e operatività. Oggi posso permettermi di collaborare o co-creare con persone dalla parte opposta del globo. Le competenze sono ovunque e posso reperirle anche a basso costo. Su questo tema vi consiglio un libro il cui riferimento è nei link di approfondimento dell’articolo.
Closed Innovation e Open innovation a confronto
Proviamo però ora ad analizzare le differenze sotto un profilo più schematico e sintetizzare così i vantaggi dell’uno e dell’altro approccio.
Vantaggi della protezione nella “Closed Innovation”:
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- i sistemi proprietari consentono all’impresa di appropriarsi di maggiori rendite;
- i profitti generati possono essere re-investiti nel miglioramento tecnologico mantenendo la concorrenza a distanza
- l’impresa potrebbe essere disposta a subire delle perdite di breve termine perché l’affermazione come disegno dominante garantirebbe flussi costanti e duraturi;
- l’impresa può mantenere il controllo.
Vantaggi dell’apertura nella “Open Innovation”:
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- un approccio o una tecnologia aperta consente e favorisce un processo più rapido di diffusione e adozione della tecnologia;
- la diffusione della tecnologia senza barriere può favorire la disponibilità di beni complementari;
- una tecnologia aperta può beneficiare degli sforzi di sviluppo operati da altre imprese e sfruttare l’innovazione di altri portatori d’interesse.
La sfida però è complessa e troppo spesso il primo vero ostacolo è la cultura aziendale interna. Il top management spesso rischia di essere una barriera, spesso insormontabile, allo sviluppo e alla diffusione della cultura innovativa e dell’innovazione stessa. Poche sono ancora infatti le grandi aziende italiane costruttrici di ambienti che favoriscano la crescita di ambienti o realtà innovative e team per potenziali spin-off aziendali.
Esempi virtuosi tuttavia esistono ma sono pochi e isolati. Personalmente non vedo ancora valide politiche aziendali paragonabili alle strategie di Electrolux, azienda veramente innovativa che organizza dei veri e propri eventi di carattere innovativo coinvolgendo tutta la struttura aziendale ed in primis i propri dipendenti. Questa è sicuramente una via per creare innovazione. Coltivando, coinvolgendo e favorendo attività in ambito innovativo e riscoprendo lo spirito imprenditoriale!
Ho voluto parlare di politiche aziendali perchè è a mio avviso importante capire che (tabelle alla mano) l’investimento puro da solo non basta. Come dimostrano i dati relativi ai top spender del settore i quali non rispecchiano però quelli sulle aziende più innovative in assoluto, su tutte Apple, Amazon, Google e Facebook. Certo un budget è essenziale ma può non essere il primo fattore anzi credo profondamente che un movimento innovatore parta da ben più lontano e sia fatto dalle persone, grazie ad una cultura condivisa.
Mi fermo qui, il prossimo articolo sarà un focus in particolare sulle tipologie di innovazione e sulla diffusione dell’innovazione all’interno del mercato, quindi rimanete connessi e fatemi sapere cosa ne pensate fino ad ora.
Approfondimenti & Definizioni:
https://it.wikipedia.org/wiki/Innovazione
https://it.wikipedia.org/wiki/Open_innovation
https://en.wikipedia.org/wiki/Disruptive_innovation
Innovazioni tecnologiche e organizzative – Enciclopedia delle scienze sociali
Libri Consigliati:
Makers, il ritorno dei produttori di Chris Anderson.
Link al corso:
http://www.sellalab.net/it/events/corso-open-innovation-metodi-e-strumenti-per-portare-innovazione-in-azienda/